Dal 1° maggio 2015 è preclusa ai fondi di investimento la gestione in multiproprietà delle quote di atleti attraverso la c.d. TPO che sta per “third-party ownership”.
Così ha stabilito la FIFA, attraverso la circolare n. 1464 del 22.12.2014, al rivisitato art. 18 ter del RSTC (Regolamento Status e Trasferimenti dei Calciatori), avallata anche dalla giurisprudenza internazionale. La FIGC, dal canto suo, con l’entrata in vigore del nuovo Regolamento, in data 1.4.2015, che disciplina l’attività di “procuratore sportivo”, in adeguamento alle direttive della FIFA sul tema de quo, ha ricompreso tale indirizzo – divieto di TPO – all’art. 7, rubricato “Conflitto di interessi”, in quanto anche i procuratori sportivi possono avere cointeressenze nei c.d. “diritti economici” di un calciatore.
L’attività di “third-party ownership” consisterebbe in una proposta di finanziamento alle società di calcio per l’acquisto dei diritti economici degli atleti, che le stesse società non sarebbero in grado di permettersi, così da ottenere in cambio una percentuale sui ricavi futuri derivanti dalla cessione. La pratica è diffusa soprattutto in Sudamerica, specialmente in Brasile, ma negli ultimi anni si è allargata alla penisola iberica, prima, e al resto dell’Europa, poi. Il fine dei fondi d’investimento è di movimentare il mercato e favorire continui trasferimenti dei calciatori da una società all’altra per guadagnare nelle rivendite.
Tuttavia, l’esecutivo della FIFA ha fatto salvi i contratti già esistenti alla data del 1° maggio 2015, mentre per quelli sottoscritti nel periodo intercorrente tra il 1° gennaio e il 30 aprile 2015 è, invece, ammessa l’efficacia per un solo anno.
Non sono mancati i “mal di pancia”, tra gli operatori del settore, infatti, la Doyen Sports – fondo d’investimento anglo-maltese – ritenendosi lesa nelle proprie libertà fondamentali, nonché nel diritto alla concorrenza e alla libera circolazione dei capitali e dei lavoratori, ha presentato un ricorso al Tribunale di Prima Istanza di Bruxelles (sentenza del 24.07.2015), che tuttavia ha respinto le argomentazioni riguardo all’incompatibilità del Regolamento FIFA con la normativa comunitaria sulla concorrenza, ammettendo invece “l’indispensabilità del divieto per preservare l’indipendenza di società e giocatori e per assicurare l’integrità delle partite e delle competizioni”.